Dai casi Cogne e Avetrana, fino a Garlasco e Perugia, dal caso di Yara passando per le ultime cronache di femminicidio, ogni tragedia reale si trasforma in una saga da palinsesto. Le trasmissioni si moltiplicano, le dirette web si rincorrono, i talk show sostituiscono le aule di giustizia. Il dolore si consuma in prima serata e la verità viene piegata allo share.
Crediamo che sia giunto il momento di dire con forza basta con i processi in tv e con la spettacolarizzazione della giustizia, in cui la tragedia si trasforma in show, la ricerca della verità in feuilleton, la vittima in oggetto di consumo. Come Organismo di rappresentanza politica dell’Avvocatura italiana esprimiamo profonda preoccupazione per il tono inquisitorio di molte trasmissioni televisive, dove l’informazione cede il passo alla fiction e la cronaca diventa spettacolo morboso.
Così la figura della vittima viene usata per fare audience e dare visibilità a opinionisti e presunti esperti mentre l’opinione pubblica viene sistematicamente spinta a sostituirsi al giudice, esprimendo giudizi sommari basati su simpatie e pregiudizi, non su fatti accertati giudizialmente. Ed è per questo che non possiamo più accettare che gli stessi avvocati e i loro consulenti si prestino a un ruolo di protagonisti in un circo mediatico che spesso distorce fatti e responsabilità.
Sentiamo il dovere etico, deontologico e professionale di affermare un principio irrinunciabile: la giustizia si fa nelle aule dei tribunali, non nei salotti televisivi. Perché il «carnevale dell’opinionismo» televisivo, come lo ha definito recentemente Aldo Grasso, mina i cardini del nostro sistema giudiziario, negando il principio di legalità, quello di proporzionalità e naturalmente la presunzione di innocenza. Come Ocf riaffermiamo l’importanza dell’equilibrio tra informazione e riservatezza, nel più assoluto rispetto per tutte le persone coinvolte.
Il nostro appello va a tutte le componenti di questo sistema: ai giornalisti, che hanno il diritto – ma anche il dovere – di raccontare senza deformare; ai colleghi avvocati, che devono difendere i propri assistiti nelle sedi opportune, non davanti alle telecamere; alle istituzioni, che devono vigilare e garantire equilibrio. Noi non chiediamo censure, chiediamo responsabilità. Chiediamo che la cronaca giudiziaria torni a essere sobria, rispettosa, consapevole. E che la ricerca della verità non venga più scambiata per fiction, né il dolore trasformato in oggetto di consumo. Chiediamo con forza a tutti i colleghi, ai media e alle istituzioni di farsi carico di questa responsabilità e recuperare il senso etico nel racconto giudiziario.
Intervento del Segretario Accursio Gallo su Avvenire – 18/06/2025, pagina 15