Pene sostitutive, Nardo: “Inserirle nel codice penale è centrale per rafforzare i percorsi trattamentali”

L’avvocato e presidente del Coa di Milano, Vinicio Nardo, già componente dell’Ufficio di Coordinamento dell’ Organismo Congressuale Forense OCF, è intervenuto nei giorni scorsi al Congresso Nazionale Forense al focus “Per una detenzione più umana: dalla pena alla rieducazione, dalla risocializzazione al lavoro”, moderata dal giornalista del Sole 24 Ore Giovanni Negri.
In sintesi le dichiarazioni di  Nardo: «La legislatura è iniziata male, ma finisce meglio. Lo abbiamo scritto in una lettera alla politica prima delle elezioni, nel decreto legislativo di riforma del penale ci sono parti controverse. Parliamo di carcere e sul carcere possiamo dire bene della riforma anche perché durante il Ministero della prof.ssa Cartabia abbiamo avuto anche la nomina di un capo del DAP che finalmente non è stato scelto tra i ranghi della direzione antimafia, segno di una considerazione diversa del carcere: non come un luogo di lotta alla criminalità ma di recupero delle persone. Abbiamo avuto la commissione Ruotolo che si è occupata di problemi per il carcere che riguardano l’innovazione penitenziaria e la salute. Il carcere è un luogo opaco e la Commissione per i garanti si scontra con questo muro di opacità, muro di opacità che blocca da sempre gli avvocati. Il messaggio che deve passare in questo congresso è che deve essere uno stimolo agli avvocati per fare qualcosa di più è che non esiste solo il processo di cognizione. Inserire nel codice penale le pene sostitutive è centrale per rafforzare i percorsi trattamentali: c’è un valore simbolico importante. L’idea di applicare già dal giudice che fa il processo di merito la pena sostitutiva, è un’idea che c’è da tempo, ma aver avuto ora la forza e il coraggio di farlo è stato importante, dobbiamo darne atto alla Cartabia. Anche se nel percorso dalla commissione Lattanzi fino al decreto legislativo che sta per andare in gazzetta si è perso qualcosa, il pezzo più pregiato, ossia l’affidamento in prova con il patteggiamento. È chiaro che, a seguito di patteggiamento, poter fruire, nel caso di pene sino a 4 anni, solo della semi-libertà o della detenzione domiciliare può non essere un incentivo a patteggiare per avere la misura alternativa. Detto questo, questa riforma penale, questo sistema di procedibilità molto più severo, questo sistema di revoca implicita della querela, ha tutta una serie di aggiustamenti per evitare che il processo sia solo carcere. Ma questo, come Avvocatura, ci deve mettere sull’avviso, perché quando queste misure verranno applicate ci saranno contraccolpi politici e quindi noi dobbiamo prevedere, anticipare, ragionare, preparando il terreno a questa risposta. Ricordo a tutti che c’è stata una circolare del DAP di agosto sul fenomeno dei suicidi, un fenomeno drammatico che però ha aperto una finestra sul mondo del carcere che non è appunto una casa di vetro. Un provvedimento che stabilisce che tra avvocati e istituti penitenziari deve instaurarsi un rapporto diretto affinché l’assistente sociale, quello che oggi si chiama funzionario giuridico pedagogico, possa rivolgersi all’avvocato per intercettare i problemi del detenuto prima che possa essere troppo tardi».
Hanno partecipato le avvocate Giovanna Ollà, componente CNF, Emilia Rossi (componente del Collegio del Garante nazionale delle persone private della libertà), Maria Brucale e la giornalista del quotidiano Domani Giulia Merlo.